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L’art. 1 del d.l. n. 338 del 1989, nell’individuazione della retribuzione da assumere come base di calcolo della contribuzione previdenziale, afferma che la stessa non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (minimale contributivo) ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.
In caso di mancanza di un contratto collettivo di riferimento la Suprema Corte è di avviso che come base di calcolo dei contributi sono da prendere come riferimento i contratti stipulati a livello nazionale ( e non regionale o provinciale anche se stipulati da organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale) di un settore affine che il datore di lavoro ha l’onere di individuare poiché la parte economica di questi contratti è maggiormente idonea a funzionare come parametro minimale comune per la generalità dei lavoratori di un determinato settore, e quindi con maggiori garanzie di parità degli stessi lavoratori nel concorso al finanziamento del sistema previdenziale.
Piergiorgio Cefaro
Consulente del lavoro
14/01/2019
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