La Certificazione dei contratti di lavoro
Il Decreto Legislativo n. 276 del 2003 (artt. 75 – 81) con lo scopo di ridurre il contenzioso ha istituito la possibilità di certificare i contratti di lavoro, ossia su base volontaria le parti datore di lavoro e lavoratore rivolgendosi presso Commissioni istituite in determinate sedi stabilite dalla legge chiedono che il contratto che hanno posto in essere o vorranno porre in essere venga esaminato e valutato al fine di ottenere la coerenza formale tra la volontà espressa dalle parti stipulanti e le clausole contenute nel contratto da certificare.
Successivamente l’articolo 30 del Collegato Lavoro (Legge n. 183/2010) ha fortificato la validità dei contratti certificati nei confronti dell’autorità giudiziaria vincolando il giudice alla volontà espressa dalle parti in sede di certificazione tranne in casi di erronea qualificazione del contratto, vizi del consenso, o difformità tra il programma negoziale certificato e la concreta attuazione verificata (art. 30, co. 2, l.n. 183/2010).
Le Commissioni di certificazioni hanno competenza di certificare, dopo l’ampliamento delle competenze operato dal Jobs Act Legge 183/2014, sulle seguenti ipotesi:
Comunque in virtù della identificazione di qualsiasi prestazione lavorativa si deve intendere che è certificabile qualsiasi accordo dove sia deducibile l’utilizzo di prestazioni lavorative non anche tipizzati dal decreto e indipendentemente dalla loro qualificazione subordinata/autonoma, come per esempio i contratti di agenzia e rappresentanza commerciale.
QUALE EFFICACIA HA UN CONTRATTO CERTIFICATO?
La procedura di certificazione di un contratto ha il suo passaggio cruciale nell’audizione delle parti contraenti per verificare che il contratto sia conforme alla legge e al contratto collettivo applicato.
Il rifiuto definitivo della certificazione potrà essere evitato mediante il suggerimento delle opportune correzioni da apportare all’accordo stesso, difatti la Commissione certificatrice può svolgere anche una funzione di assistenza e consulenza alle parti sia in fase di stipula che durante il contratto e può prima di rigettare l’istanza proporre soluzioni in modo che il contratto rispetti i criteri di certificazione.
Le parti possono fare espressa richiesta, nell’istanza di certificazione, che gli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, non producano effetti solo nei confronti delle due parti ma anche verso terzi, in questo caso l’atto di certificazione ha un efficacia giuridica anche verso terzi, che possono essere l’INL, INPS,INAIL, L’ENPALS, l’ENASARCO etc. difatti l’art. 79 del decreto dice”gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell’art. 80, fatti salvi i provvedimenti cautelari”.
LE OPPOSIZIONI ALLA CERTIFICAZIONE
Definita positivamente la procedura, il contratto può definirsi certificato, ossia conforme alla legge e al contratto collettivo applicato. Ma è in qualche modo opponibile? Ossia il lavoratore o un terzo può contestarlo o comunque far valere un diritto diverso rispetto all’accordo certificato? L’art. 80, comma 1, del decreto stabilisce che “Nei confronti dell’atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l’atto stesso è destinato a produrre effetti, possono proporre ricorso, presso l’autorità giudiziaria di cui all’articolo 413 del codice di procedura civile, per erronea qualificazione del contratto oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Sempre presso la medesima autorità giudiziaria, le parti del contratto certificato potranno impugnare l’atto di certificazione anche per vizi del consenso” ( cioè l’errore, la violenza e il dolo) . Non prima tuttavia proporre in primo luogo il tentativo di conciliazione presso la medesima commissione di certificazione e successivamente possono proporre ricorso giudiziario per rivendicare la corretta qualificazione del contratto, con ogni conseguenza. Perciò la qualificazione certificata resiste alle contestazioni degli organi di vigilanza e conserva efficacia fino a sentenza del Tribunale, rappresentando quindi uno strumento decisamente deflativo delle controversie.
Perciò i casi di opponibilità della certificazione sono:
Solo le parti interessate possono opporsi per vizio del consenso, mentre in caso di violazione del procedimento o per eccesso di potere l’opposizione deve essere fatta dinanzi al TAR con l’annullamento del provvedimento certificatorio non incidendo sul contratto di lavoro che prosegue a produrre i suoi effetti.
Come già anticipato precedentemente, come prescrive l’ art. 80, comma 4, D.Lgs. n. 276/2003 per poter procedere al ricorso di opposizione giudiziale alla certificazione è obbligatorio espletare un tentativo obbligatorio di conciliazione da espletarsi davanti alle stesse commissioni di certificazione che hanno emanato il provvedimento e tra le ipotesi di impugnazione c’è la qualificazione del contratto, la difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, ovvero i vizi del consenso. Vista l’efficacia giuridica della certificazione anche verso i terzi (art. 79 D.Lgs. n. 276/2003), il tentativo di conciliazione è obbligatorio sia per le parti che hanno sottoscritto il contratto certificato, sia per i terzi interessati (ad esempio gli enti amministrativi) che intendano agire contro l’atto di certificazione (Min. lav., nota del 25 novembre 2010).
LE COMMISSIONI DI CERTIFICAZIONE
Le commissioni di certificazione con cui avviare il procedimento sono quelle appositamente istituite presso:
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